Švankmajer. Cosa
significa questa parola? Non è un insulto, come qualcuno
potrebbe forse pensare. Più prosaicamente, si tratta nientemeno che
di un cognome. Un cognome slavo portato da un leggendario regista,
autore e animatore ceco, Jan Švankmajer, figura di spicco (oserei
dire di culto) nel campo dell'animazione, non solo nell'ex blocco
comunista. Siano esse animate o girate dal vivo, le opere di Jan,
classe '34, non sono mai banali e portano con loro quella sana dose
di mindfuck che rende la vita degna di essere temuta. Valgano a
titolo di esempio i 450 secondi di Tma/Svetlo/Tma (Luce/Buio/Luce,
1989), claymation dove un uomo completamente sezionato di "ricompone"
da sé.
Buon sangue non
mente. Nel '75 Jan dà luce a uno dei suoi lavori meglio riusciti,
ovvero il figlio Václav; il quale una volta cresciuto si pone sulle orme del padre e
produce qualche apprezzato lavoro di per sé. Uno di questi, un
cortometraggio di 25 minuti scarsi, esce nel 2005 dopo 5 anni di
lavoro. Si tratta di Světlonoš (ovvero qualcosa come "il portatore di luce"; The
Torchbearer il titolo internazionale).
Non si sanno bene il
dove e il quando; sembra comunque una sorta di medioevo alternativo.
Un imperatore siede sul trono, e il sole e la luna si alternano
normalmente sul suo regno. Ma un giorno l'imperatore muore, e la sua
morte sconvolge il ciclo di luce e notte: il mondo resta e resterà in balia di
un buio infinito, finché l'imperatore avrà un degno erede.
È questo
l'antefatto di Světlonoš,
suggerito in un prologo a disegni [poco] animati, così come lo sarà
anche l'epilogo. La vicenda vera e propria è invece tutta girata in
stop-motion: un uomo in armatura si addentra in una labirintica
cittadella in cerca del trono. La cittadella però nasconde insidie
mortali, attivate da una serie di statue senzienti che senza alcuno
scrupolo metteranno tre volte alla prova l'abilità, l'ambizione e la
vita l'aspirante eroe.
Světlonoš
è un'opera straordinaria. È un horror immensamente cupo e
inquietante, assai raffinato, gelido nella rappresentazione. Non ci
sono dialoghi, non ci sono vere persone in cui identificarsi (il
viso dell'eroe è nascosto dall'elmo, l'imperatore ormai è uno
scheletro, le statue... beh, sono statue),
non ci sono appigli sicuri per lo spettatore. Le musiche, opera di
Ondřej Ježek, sono semplicissime ed efficaci, quasi darkwave.
L'ambientazione mette un disagio palpabile. La regia è curatissima.
E, senza svelare nulla di particolare, il finale colpisce veramente
duro. Forse esagero, ma per me è stato amore a prima vista.
Světlonoš è un'opera straordinaria, scusate se insisto. Assolutamente da recuperare.
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