lunedì 28 dicembre 2015

Bang Bang (1971)

Per uno di quei curiosi giuochi del destino Andrea Tonacci, italiano nato in Italia da genitori italiani, ha finito col diventare diventato un nome di spicco in un cinema distantissimo dal nostro, quello brasiliano. La famiglia si trasferì infatti in territorio paulista quandi lui aveva undici anni, e qui cominciò coi sui primi lavori negli anni '60. Nel 1971, a 27 anni, gira il primo lungometraggio, Bang Bang, opera seminale del cosiddetto "Cinema marginal" (che NON è il Cinema Novo, badate).
Bang Bang è uno strano e incomprensibile assemblaggio di eventi, sperimentale all'eccesso. La storia -se mai c'è- non è mai esplicitata chiaramente: ci sono due tizi in automobile, tre banditi bunueliani (uno è un cieco che spara a casaccio, uno è vestito da donna e mangia in continuazione, un terzo non fa che pettinarsi), un tale che indossa una maschera di scimmia in bagno e canta, una donna che balla sui tetti, un prestigiatore. I tre banditi danno la caccia al mascherato (che nel frattempo si è tolto la maschera) e cercano di strappargli una valigetta, poi accadono strane cose col prestigiatore in una camera da letto e poi comunque non si capisce un cazzo. Non siamo lontani da un Un chien andalou in salsa sudamericana (anche se di atmosfera brasiliana si percepisce poco, data l'ambientazione surreale del tutto). I dialoghi, spesso sovrastati dal rumore ambientale, non hanno particolare significato, e i nostri antieroi si muovono in città indifferenti o stanze disturbanti (di spicco certe scene girate in ascensori; la camera da letto dove il prestigiatore si dedica alle sue magie; il grande garage dove appaiono per la prima volta i banditi, appollaiati su un divano in cima a uno scaffale).
Un mindfuck non proprio bellissimo, ma visivamente fascinoso.

martedì 1 dicembre 2015

Filibustieri sul NES: la Color Dreams

Molti conoscono l'alter ego di James Rolfe, ovvero l'Angry Video Game Nerd. Chi lo conosce sa anche delle numerose puntate che ha dedicato a massacrare i videogiochi a tema biblico, in particolare quelli terribili prodotti dalla Wisdom Tree per NES (non che giochi dello stesso genere prodotti da altra gente e per altri sistemi siano migliori, comunque), e che hanno portato questi prodotti a conoscenza di un pubblico assai più vasto di quello originario. È forse lecito chiederselo: che cosa spinge un'azienda ad imbarcarsi in un progetto tanto assurdo quanto lo è quello di fare videogiochi religiosi? Profonde convinzioni morali? Niet. Amore per le sfide? Niet. Il vil denaro? BINGO!

I giochi Nintendo degli anni '80 erano colorati, divertenti, piacevoli, rassicuranti; facevano di tutto per nascondere il fatto che la grande N fosse in realtà una spregevole corporazione assetata di yen e senza cuore. Le pratiche di mercato nintendare non andavano troppo per il sottile; a Kyoto avevano ben in mente due cose fondamentali: dominare il mondo dei videogiochi e mantenere tale mondo in buona salute. Il secondo obiettivo non era stato tenuto molto ben presente da Atari e compagni, cosa che aveva portato alla crisi dei videogiochi del 1983 e la perdita da parte della grande A di un impero che sembrava indistruttibile. La Nintendo imparò la lezione e decise di farsi più furba, applicando le dovute contromisure. Una di queste, nata dalla considerazione che tra le cause della crisi si poteva annoverare la massiccia circolazione di software di bassissima qualità, fu l'imposizione alle software house di produrre solo pochi giochi all'anno, che dovevano essere preapprovati dalla N stessa. Per impedire alle softhouse di aggirare questi (ed altri) divieti, la Nintendo inseriva personalmente in ogni singola cartuccia prodotta un chip che serviva ad autenticare il gioco una volta inserito nel NES, interfacciandosi con un chip "fratello" contenuto nella console. Se non c'era il chip, il gioco non partiva.
Non tutti accettarono di buon grado questa sorta di controllo orwelliano. Nel corso degli anni nacquero diversi team che rifiutarono le condizioni Nintendo e studiarono sistemi per aggirare il lock-out, pubblicando giochi non licenziati; perlopiù si trattava di compagnie taiwanesi e hongkonghesi, più qualcuna coreana, ma non mancarono esempi di pirati occidentali: australiani, britannici (Codemasters) e ovviamente statunitensi (tra cui la Tengen, ovvero la stessa Atari). In quest'ultimo gruppo merita particolare attenzione, IMHO, la surreale Color Dreams, il vero oggetto del mio sproloquio (finalmente!).

Fondata in California da Dan Lawton nel 1989, la Color Dreams negli anni si costruì una solidissima reputazione di sforna-schifezze (come quasi tutti gli altri team pirata, del resto). A fatica potrete trovare qualche prodotto quantomeno giocabile nel suo pur vasto parco titoli. Avendo raggiunto al suo apice la quota di -si dice- sessanta dipendenti è ragionevole supporre che gli introiti della società non fossero comunque troppo malvagi; la domanda su chi comprasse la loro roba nasce comunque spontanea (mi viene da pensare che riuscissero a vendere i loro prodotti perchè costavano meno -non dovendo pagare royalties a Nintendo- ma è una mia supposizione, non so nemmeno se sia vero). Lawton aggirava il lock-out inserendo nelle cartucce una circuiteria che usava corrente elettrica per shockare il chip nella console, "ubriacandolo" e disattivandone temporaneamente le funzioni: un trucco molto comune tra i pirati.
I giochi CD, oltre ad essere brutti forte, non cedono mai a considerazioni etiche. Uno dei loro titoli più famosi e "migliori", Robodemons, è addirittura impregnato di tematiche horror e sataniche. Epperò è dalla CD che nasce la summenzionata Wisdom Tree. Come è possibile?
La Nintendo non poteva accettare la presenza di un vastissimo contingente di persone che vendevano giochi per la loro console senza pagarle i diritti, tantopiù che il 99,999% di quei titoli erano merda liquida. Intentò cause a parecchi team, ma non cavò un ragno dal buco (mi pare che finì col perdere buona parte di queste cause). Passò quindi alle maniere forti: impose ai rivenditori finali di non commercializzare titoli non licenziati, pena la rescissione del contratto con la grande N. Ovvero: o vendete solo i giochi di team licenziatari (Konami, Capcom, Namco, Activision...) o solo quelli pirata (CD, Sachen, ConySoft...). Ardua scelta, eh?
Con le gambe segate dal provvedimento, i pirati cercarono altri sbocchi. Lawton si rese quindi conto di non aver mai considerato il sempre fiorente mondo religioso americano; i rivenditori di materiale cristiano non vendevano giochi -e non erano perciò toccati dai divieti Nintendo- ma avrebbero potuto essere interessati a vendere videogames a tema. In un attimo venne creata la WT, e alcuni giochi CD furono riconvertiti alla bell'e meglio per soddisfare il nuovo mercato. L'idea funzionò, e questo fu quanto.
CD e WT presero strade diverse a metà anni '90. Wisdom Tree esiste ancora oggi e si occupe sempre dello stesso settore. La Color Dreams invece non opera più; Lawton fondò la StarDot, che costruisce telecamere a circuito chiuso ed esiste ancora oggi, e vi spostò quasi tutto il suo personale.

La Color Dreams ci ha lasciato una vasta eredità di fetenzie. Sarebbe giusto parlarne diffusamente, ma non ho mai osato avvicinarmi troppo ai loro meravigliosi titoli. Con l'eccezione di Robodemons, mi sono limitato a vedere alcuni video, e direi che basta ed avanza. I giochi CD sono terribili già dalla confezione esterna: a differenza delle cartucce NES regolari (quelle "mattonelle" grigie che i meno giovani ricorderanno bene), le cartucce CD sono di un assurdo azzurrino chiaro; tutti i giochi non licenzati avevano in effetti supporti non-standard, ma quelli di Lawton si beccano il premio per il peggior colore. Un chiaro avvertimento: "se il gioco è così brutto fuori, figuratevi dentro". Dentro, del resto, ci trovate inequivocabilmente grafica approssimativa, sonoro fastidioso, bug in quantità, gravi difetti di game (e level) design, stupidate varie assortite. Spesso inoltre la CD si occupò anche della distribuzione su suolo USA di titoli prodotti dalla leggendaria softhouse taiwanese Sachen/Joy Van/Thin Chen Enterprise (a seconda di come girava), giochi la cui qualità era persino peggiore (!!!) di quelli statunitensi.
Insomma, Lawton e soci non si facevano mancare nulla.

Io ho giocato per qualche minuto a Robodemons. Che dire, non ve lo consiglio. Ma ad essere sincero, ho giocato di peggio. Vi lascio un video e un link bonus nel quale è riassunto tutto il gioco: cercateci il livello "The level of flesh", non ve ne pentirete.