Questa locandina non ha molto a che vedere
con il film, in realtà.
con il film, in realtà.
Prodotto apparentemente di culto nella natìa Estonia, miscela un po' grottesca di giallo, thriller e fantascienza, il film (girato nel 1979 dal sovietico Grigori Kromanov, alla sua ultima opera) si snoda in ottanta minuti scarsi all'interno di un albergo d'alta montagna dal nome inquietante, nella cui hall campeggia la gigantografia proprio del defunto che dà nome allo stabile. L'ispettore Glebsky vi giunge perché una telefonata anonima ha richiesto la sua presenza lì, per indagare su un omicidio; una volta sul posto lo accolgono un enorme Sanbernardo ed il simpatico signor Snewahr, proprietario dell'albergo, il quale non solo smentisce che sia avvenuto un assassinio, ma aggiunge che nessuno ha telefonato alla polizia.
Ormai è tardi per tornare indietro (il meteo è inclemente), e Glebsky si prende una meritata giornata di riposo in mezzo ai monti (per inciso, location di certo non estoni, dato che l'altura massima di quel paese non tocca i 320 metri1). Incontra i pochi altri ospiti dell'hotel (gente cordiale, in qualche caso un po' stramba), passa un bel pomeriggio e, una volta giunta la sera, una slavina isola lo chalet dal resto del mondo. E, per soprammercato, alcune cose inquietanti cominciano ad accadere: uno degli ospiti ad esempio viene davvero ucciso, un altro sparisce nel nulla, un altro strano tizio dall'aspetto e dal comportamento enigmatici (per non parlare del nome) verrà invece trovato fuori dall'albergo più morto che vivo. Insomma, che succede in questo simpatico posticino?
Non ci si aspettino sviluppi di trama alla Shining (le premesse sono del resto molto diverse, al di là dell'albergo d'alta montagna). Il nostro amico sovietico Kromanov gira una pellicola dall'atmosfera un po' malsana e poco chiara in cui si sviluppa una sorta di climax nel quale premesse credibili sfociano in una storia dalle pieghe irreali e del tutto non risolta. Il finale è infatti piuttosto ambiguo, e nel caso qualcuno non se ne fosse accorto è lo stesso Glebsky a sottolinearlo nel “monologo” finale.
La pellicola è geograficamente eterogenea. Produzione sovietica, parlata in estone, è stata girata sicuramente al di fuori della zona baltica; la sceneggiatura è tratta da un romanzo di due fratelli, Arkadi e Boris Strugatski, di origine georgiana (anche se Boris è nato in Russia), meglio noti come autori di Picnic sul ciglio della strada (il racconto che fu embrione dell'acclamatissimo Stalker di Tarkovskij). Il personaggio centrale, Glebsky, è interpretato da un lettone, l'attore Uldis Pūcītis, così come è lettone Kārlis Sebris, interprete di un altro personaggio chiave (Moses). Pūcītis, che non avrebbe sfigurato granché come volto di James Bond, è sullo schermo praticamente in continuazione e rende piuttosto credibile il suo granitico ispettore. Gli altri individui (che sono solo nove) sono generalmente più abbozzati, ed è un peccato, anche se la cosa va ad aiutare la tetra atmosfera di incertezza che pervade “Hukkunud Alpinisti” hotell. Atmosfera ben alimentata anche dalle musiche vagamente oniriche di uno dei principali artisti estoni, Sven Grünberg; nella OST peraltro spicca, per bellezza e per differenza rispetto al resto dello score, l'elettronicissima “Ball”, che finirà anni dopo in quel Sügisball di cui parlai mesi e mesi fa.
Non saprei francamente a chi consigliare un film del genere. Forse ai patiti di oscurantismo cinematografico2. Comunque, nel complesso sufficiente.
(Nota: “Hukkunud Alpinisti” hotell non è mai uscito in italiano. Se per caso, nonostante tutto, siete decisi a prenderne visione, esistono i sottotitoli in inglese (non ho indagato per altre lingue). Se però siete così bravi da essere fluenti in russo o -peggio- in estone, potete godervelo doppiato o addirittura nell'originale ugrofinnico. Beati voi!)
[1] Non ho trovato informazioni sui luoghi delle riprese. Fonti non ufficiali parlano di Francia o Svizzera francese: non ho motivo di dubitare della cosa, ma non posso nemmeno confermare con certezza. Mi pare anche strano che nel '79 una troupe -per di più baltica- abbia potuto uscirsene dall'URSS ed andare a girare tranquillamente un film nell'Europa capitalista.
[2] In realtà non so cosa sto dicendo. Non fateci caso.